Due articoli trattanti l'etnia Shipibo-Konibo attraverso
tradizioni, arte, musica e immagini
IL COLLETTIVO D'ARTE BARIN BABABO
L’etnia indigena Shipibo-Konibo
vive nella regione Ucayali che si trova nella foresta centrale peruviana ed é
tristemente conosciuta come il “corridoio della povertà”.
La cultura Shipibo-Konibo é
custode di una straordinaria conoscenza ancestrale della natura. La tradizione
di questo popolo insegna a vivere in simbiosi con l’ambiente, a imparare dalla
vita delle piante e degli animali.
La vita nelle comunità che ancora
vivono a qualche ora dalla città scorre in armonia con le stagioni. Si vive di
caccia, di pesca, di agricoltura e di artigianato, a questa attività si
dedicano soprattutto le donne che fin da piccole vengono educate all’arte della
ceramica e del ricamo. Gli sciamani curano i propri pazienti con cerimonie di
canti chiamati Icari e con decotti di erbe medicinali come l’Ayahuasca.
I popoli indigeni del bacino del
Rio delle Amazzoni utilizzano da tempo immemorabile il decotto della porzione
lignificata e polverizzata delle liane di Banisteriopsis caapi e delle foglie
di Psychotria viridis per ottenere l’Ayahuasca; utilizzata in cerimonie
religiose e per scopi magico-terapeutici. Il più antico oggetto conosciuto
legato al cerimoniale dell’Ayahuasca è una coppa ricavata da una pietra
intagliata e decorata con incisioni, trovata nella foresta ecuadoregna e legata
alla cultura Pastaza (500 a.c.-50 d.c.). Ciò dimostra come l’ Ayahuasca sia
conosciuta ed utilizzata da almeno 2.500 anni.
Ad oggi alla situazione di
estrema povertà in cui questo popolo vive da alcuni decenni si sommano
l’influenza delle varie congregazioni religiose evangeliche e protestanti che
pretendono di convertire la popolazione allontanandola dalle proprie tradizioni
originarie e soprattutto la minaccia delle grandi multinazionali petrolifere,
interessate a questa zona ricca di petrolio ed infine la distruzione ambientale
generata dal commercio illegale del legno.
Molti giovani cercano fortuna
emigrando nella capitale, Lima, lasciando la propria casa e le proprie terra in
cambio di una vita fatta di miserie e stenti.
In tale contesto nasce il
Collettivo di artisti Barin Bababo formato da un gruppo di giovani della
comunità di San Francisco di Yarinacocha, che si trova a quaranta minuti da
Pucallpa, capoluogo della regione.
Questi pittori dipingono
straordinari quadri che rispecchiano e raccontano la cosmo-visione amazzonica,
l’arte della pittura è divenuta per loro un mezzo importante per diffondere la
propria cultura e a questo scopo sono già state organizzate diverse mostre sul
territorio locale e internazionale di discreto successo che hanno dato la
speranza a questi giovani artisti di poter vivere della propria arte.
Al Collettivo Barin Bababo si
sono uniti non solo giovani appassionati alla pittura dei disegni chiamati
Kenè, ma anche artigiani e artigiane della comunità, cercando di guadagnarsi il
necessario per vivere attraverso l’arte prodotta, cercando di diffondere la
propria cultura e sensibilizzare l’opinione pubblica sul pericolo che corre la
propria etnia, ha dato a questi giovani artisti una nuova prospettiva di vita,
ha risvegliato in loro la volontà di agire, di parlare e di farsi sentire.
Chiaramente rispetto al
devastante impatto del sistema sociale ed economico perpetuato dall’Occidente
il loro operato risulta essere minimale, generando sì arte, attraverso la
cultura millenaria dell’etnia Shipibo-Konibo, ma altresì, lasciando gli artisti
nell’immane compito soli, privi di supporto e risorse sufficienti alla
salvaguardia del loro patrimonio di conoscenze. Le enormi difficoltà affrontate
da questi artisti indigeni sono le difficoltà proprie dell’Occidente, incapace
di cooperare efficacemente rispetto alla tutela delle culture locali, della
salvaguardia del territorio e della dignità umana.
È così che a questi artisti si
preclude la possibilità di essere attori economici nel mercato equo e solidale
mondiale, in quanto neanche questo sistema risulta in grado di prendere
coscienza del valore intrinseco di ciascuna opera, risultando incapace di
proporre agli artisti il giusto compenso per l’opera creata, lasciando, in tal
modo, col tempo, che essi si dedichino definitivamente alle uniche forme di
sostentamento economico che ormai da decenni deturpano culture e territori
della selva amazzonica, ma non solo.
Ciò che emerge è il forte divario
che la cultura Shipibo-Konibo presenta nei confronti del sistema
economico-finanziario ed in particolare con il concetto di sviluppo da noi
adottati in maniera sempre più totalitaria negli ultimi sessanta anni.
In un epoca globalizzata come
quella che ci troviamo a vivere oggi diventa fondamentale interrogarci
sull’impatto della nostra cultura sulle migliaia sparse per il pianeta,
riscoprendo nuove forme di intendere la vita, aperti alla condivisione in un
ottica di azione locale e visione globale, usando adesso, questo momento di
crisi che non deve essere derubricato a semplice tracollo finanziario e quindi
problema da economista, bensì come inefficienza del nostro modello
socio-economico, che ci vede tutti coinvolti nei gesti quotidiani.
Gli Shipibo-Konibo ed il
collettivo artistico indigeno Barin-Bababo non devono e non possono farsi
carico delle nostre inefficienze, ma possono essere un esempio valido, fatto di
azioni dotate di un senso profondo e condiviso, non di gesti ripetuti
convenzionalmente che, forti della propria identità culturale e dell’individualità
di ciascun membro della comunità agiscono per il proprio benessere.
Benessere inteso anch’esso in
maniera differente dal nostro, per il quale non occorre prevalere o
padroneggiare bensì costruirsi singolarmente ed in comunità il proprio patrimonio
culturale, da solo in grado di sopperire alle esigenze di una vita intera,
senza che il suo sviluppo determini lo sconvolgimento dell’ambiente o di
culture distanti e differenti.
Grazie a questo lavoro e alla
collaborazione dell’antropologa Luisa Belaunde, il progetto Barin Bababo ha
ottenuto un importante riconoscimento, infatti l’Istituto Nazionale della
Cultura del Perù ha dichiarato il Kené Shipibo-Konibo Patrimonio Culturale
della Nazione, riaffermandone così l’importanza per la cultura amazzonica
peruviana.
Andrea Balice
La bellezza di quest’arte si può
scorgere tra le parole dell’antropologa Luisa Belaunde, la quale riassume il
significato del Kené per la cultura indigena inquadrando l’arte nelle credenze
culturali proprie della popolazione degli Shipibo Konibo.
LA BELLEZZA
La bellezza secondo il pensiero
Shipibo-Konibo si nota a fior di pelle.
Le persone, o le cose, sono belle
quando hanno il Kené, ossia quando hanno il corpo coperto da una rete di segni
geometrici che avvolgono la pelle con linee rette e curve, circuiti di energia
che creano una nuova pelle fatta di luce e colore.
L’arte del Kené appartiene
tradizionalmente alle donne, che secondo la Cosmologia, impararono a fare i
disegni copiandoli dal corpo di una donna Inka proveniente dall’eterno mondo
del fuoco del sole, che attraversò il fiume che separa gli immortali dai
mortali.
Questa donna aveva sulla pelle i
disegni dell’anaconda, la potente proprietaria cosmica dei fiumi e
dell’arcobaleno che rappresenta il cammino che unisce l’acqua al sole.
Secondo il pensiero
Shipibo-Konibo, i disegni di tutto ciò che esiste hanno origine nelle forme
della pelle dell’anaconda primordiale; per questo , per poter vedere e fare i
disegni é necessario consumare le piante che manifestano il potere
dell’anaconda come il Piripiri e l’Ayahuasca.
Fin da piccole le bambine vengono
trattate con Piripiri, una pianta Cyparacea che rende la vista più acuta e fa
vedere i disegni nella mente, per poterli poi plasmare con precisione sulla
pelle, sulle tele, sulla ceramica e sul legno. Le donne dipingono con
bastoncini di legno e pennelli fatti con i propri capelli usando tinte
naturali; inoltre ricamano, tessono tele e lavorano con perline colorate.
Nelle fiere artigianali del Perù
si vedono spesso le donne Shipibo-Konibo vendendo i loro prodotti, però poche
persone conoscono la complessità del loro pensiero artistico e la destrezza
necessaria per produrre tali disegni.
Le donne non hanno bisogno di
bozzetti, infatti disegnano direttamente ciò che vedono nella loro mente,
rendendo più bello il quotidiano, trasformandolo a immagine e somiglianza del
mondo Inka. Se non ci fossero le donne che disegnano il Kené, gli uomini non
avrebbero ornamenti materiali e il mondo non potrebbe assomigliare a quello
degli dei.
Alcuni uomini possono vedere
disegni nella loro mente, anche se tradizionalmente non coltivano la abilità di
materializzarli. Le visioni del Kené permettono loro di praticare il
sciamanismo, che normalmente è una specialità maschile. Durante la cerimonia di
Ayahuasca, chi partecipa visualizza la rete di filigrana di luce e colore che
copre tutte le cose, che indica lo stato di salute fisica, mentale e spirituale
delle persone. Attraverso il canto, lo sciamano entra in comunicazione con
l’energia dell’anaconda primordiale e con gli spiriti delle piante, e la sua
voce traccia disegni immateriali che avvolgono l’assistito curandolo. Cantare
equivale a fare disegni immateriali di guarigione, chiari e profumati.
Il Kené è l’unione dell’estetica
con la medicina, del materiale con l’immateriale, del femminile con il
maschile. Vedere e disegnare il Kené equivale a mimetizzarsi con l’energia
delle piante che hanno in sé il potere generativo dell’anaconda primordiale.
Tutte le forme visuali, olfattive, sonore e tattili del disegno Shipibo-konibo
sono una celebrazione alla bellezza dell’anaconda e richiamano all’Inka eterno
che risplende luminoso nel cielo.
Luisa Belaunde
Antropologa
amazzonica
Fonte:
I due articoli sono stati pubblicati sulla rivista "POGROM"; Associazione per i popolai minacciati, edizione speciale in lingua italia, 269_anno 43 Edizione speciale 1/2012
VIDEO
ARTE E RITUALITA' DELL'ETNIA SHIPIBO INDIGENI IN CERCA DI AUTONOMIA DALLE MULTINAZIONALI OCCIDENTALI
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