Una gita a Valmala
La seconda guerra mondiale è entrata nell’ultimo anno, sono i
primi giorni di marzo del ’45, il 6 per la precisione e ambo le parti –
fascisti e nazisti dall’una, popolazione e partigiani dall’altra – hanno ormai capito
che la fine del conflitto si sta facendo sempre più vicina. Il gruppo di comando
della 181a Brigata Garibaldi «Mario Morbiducci»,
distaccamento «Bottazzi», decide di incontrarsi al Santuario di Valmala per
organizzare l’imminente discesa in pianura ma l’approssimarsi di una resa dei
conti sfavorevole ai nazifascisti non frena l’indole assassina dei peggiori,
come il famigerato tenente Adami, meglio noto col nome di «Pavan», tantomeno
quella degli invasori che la ostentano quasi fosse una loro innata qualità.
Complici, le due tremende fazioni, nella zona si erano
macchiate di rastrellamenti, incendi, rappresaglie e terribili massacri ai
danni di combattenti partigiani e civili rei di appoggiare la causa dei
patrioti. Eccezionalmente, in quella lontana e tutt’altro che dimenticata
giornata, i fascisti non ebbero bisogno degli invasori per rendersi autori di
un estremo e barbaro eccidio, ancor più inutile perché già chiaramente si
avvertiva l’approssimarsi dell’ovvio epilogo.
Reparti alpini del battaglione «Bassano» della divisione
«Monterosa» divisi in due pattuglie accerchiano i Garibaldini; il partigiano
«Pistola» avvistato il primo plotone dà immediatamente l’allarme e viene
incaricato di tenerli d’occhio; «Mitra» e «Tigre» pattugliano il perimetro del
Santuario. Mentre «Pistola» si arrampica sul tetto del santuario i due si
accorgono che il secondo plotone sta salendo alle loro spalle: si nasconde il
materiale non trasportabile, si mette al sicuro la macchina da scrivere che il
più giovane del gruppo, ancora studente, era riuscito a farsi prestare dalla
preside della propria scuola e si distruggono i documenti che potrebbero
compromettere altri compagni, poi… è tardi per sganciarsi. Due plotoni, armati
di artiglieria e mitragliatrici, contro poco più di una decina di patrioti
dotati del noto Sten, la cui efficacia giungeva a una ventina di metri o poco
più.
Piovono colpi di mortaio dalle postazioni in basso mentre gli
alpini sparano sul piazzale rendendo difficile la ritirata, un’azione che –
purtroppo – diventa impossibile per cinque garibaldini, i quali si stendono
nella neve per evitare i colpi e dopo poco sono catturati. Il più giovane
accenna una mossa verso la propria arma che gli è accanto, ma viene
immediatamente freddato; altri sono già caduti, sul piazzale o nella fuga.
Il comandante «Ernesto» Casavecchia riesce – con altri tre –
a ripiegare verso il colle oltre il quale c’è la Val Maira: sorte amara lo
attenderà, una piccola scheggia di granata sparata dai mortai lo colpirà
mortalmente a una tempia.
Il bilancio finale è di – soli – tre
superstiti, nove valorosi sono caduti sotto il fuoco fascista, quattro i
catturati subito portati all’interno del Santuario dove subiscono le prime
violenze. Queste continueranno per altre due settimane finché i garibaldini non
saranno scambiati con prigionieri nazi-fascisti. Lì per lì, dopo due ore di
violenti pestaggi, li attendeva il muro della fucilazione ma il passaggio di un
aereo alleato farà sì che vengano caricati in fretta e furia su di un camion e
portati alla caserma della «Monterosa». Lo scontro, segnerà l’apice delle
perdite inflitte dai «soli» fascisti ai partigiani. Un mese più tardi, il
famigerato «Pavan», reo di aver terrorizzato le valli del cuneese e che, causa
un malore, non era «riuscito» a comandare la vile azione, sarà catturato
insieme con altri dei suoi e fucilato.
Verso sera, «Edelweiss» nome di battaglia del commissario
Angelo Boero, scenderà al Santuario senza più trovare in vita alcun compagno e
sarà di lì a poco raccolto dalle formazioni del comandante «King» (al secolo
Lelio Peirano).
Ascoltiamo il racconto, allo stesso tempo tragico ed eroico,
all’ombra del Santuario, quasi vivendolo in prima persona tanta è l’accuratezza
della rievocazione e la passione che scaturisce dalle parole di un oratore
d’eccezione, il professore Riccardo Assom, una persona che ha dedicato buona
parte della propria vita alla Memoria e alle gesta di coloro i quali hanno
fortemente contribuito alla vittoria sui nazi-fascisti e alla storia delle
brigate partigiane che operavano nelle valli del cuneese.
Assom, molto noto nell’ambiente antifascista e in genere, è –
tra gli altri – artefice e curatore dell’Ecomuseo della Resistenza «Il
Codirosso» a Borgata Grossa di Lemma ed è stato tra gli storici che hanno
contribuito alla ricostruzione cinematografica della vicenda di Valmala
raccontata nel film di Daniel Daquino «Neve Rosso Sangue», presentato lo scorso
anno al Torino Film Festival e più volte premiato in diverse manifestazioni.
Parte del materiale raccolto ed esposto nel museo appartiene proprio ai
«ragazzi» sopravvissuti e periti a Valmala, episodio assurto a simbolo della
lotta partigiana nella valle. Poi, a coronamento di una giornata dedicata a
riscoprire uno dei tanti episodi che testimoniano l’impegno civile e la lotta
per la Liberazione dell’Italia, un regalo tanto inatteso quanto gradito:
l’incontro e la conoscenza con uno dei protagonisti dello storico scontro, il
commissario garibaldino Angelo «Edelweiss» Boeri, come altri due, scampato alla
cattura, alle torture e alla morte nello scontro con i nazi-fascisti.
E’ sempre un onore fare la conoscenza di uno di questi ormai
«rari» eroi; per noi – antifascisti – oggi questo incontro rappresenta una
coincidenza davvero «strana» e imprevista. Ancor più «strano» è la lezione di
umiltà di una persona che – certamente – dopo innumerevoli manifestazioni di
stima, pare addirittura «non sentirsi all'altezza» nel riceverle,
nonostante sia la storia stessa a smentirlo. Davanti alla lapide posta sulla
destra della facciata che ricorda i compagni caduti, l’emozione lascia un
segno, così come i gesti che fanno capire che per Angelo siano solo loro,
quelli i cui nomi sono lì scolpiti, ad avere diritto a essere celebrati quali
eroi. E per noi, che lo vediamo “farsi piccolo” al loro cospetto, la mole, sua
e degli altri suoi compagni, si conferma sempre più grande.
Ci lascia con un’immagine
inaspettata di «giovane» novantaquattrenne – lo rincontreremo la sera al concerto
della cover-band dei Nomadi alla festa patronale di Lemma – inforcati i Ray Ban
da sole (o come ci dice lui «da viaggio»), in sella al suo motorino che si
accende a spinta e che fa partire al primo colpo: stupiti forse, certo contenti
di averlo incontrato, lo seguiamo finché non scompare allo sguardo, sulla
quella stessa strada per Rossana che una volta era un sentiero partigiano.
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