venerdì 7 marzo 2014

“Quando torno a Mauthausen ripenso al passato e mi sento felice”

Un caro augurio di buon compleanno Ferruccio, compagno e mio insegnante di vita, i momenti trascorsi assieme mi accompagnano e mi accompagneranno per il resto della mia vita. GRAZIE
Ti volgio bene.
Elena Scarabello
Intervento di Ferruccio Maruffi alla cerimonia per il 68° Anniversario della Liberazione di Mauthausen, 2013.  
Un bellissimo articolo di Guido Novaria tratto dal giornale La Stampa del 4 marzo 2014.
 
Compie 90 anni il più anziano sopravvissuto nel lager austriaco liberato nel ’45.

Vent’anni, Ferruccio Maruffi, li aveva compiuti pochi giorni prima del suo arrivo nel lager austriaco di Mauthausen, da prigioniero politico, dopo essere stato catturato in un rastrellamento nazifascista nelle valli di Lanzo, e salvato dal plotone di esecuzione da un ufficiale tedesco che cercava braccia giovani da inviare nei campi di lavoro del Reich.
Oggi, uno degli ultimi sopravvissuti torinesi dei lager nazisti, festeggia 90 anni nella sua casa di corso Monte Grappa, con la moglie Maria Teresa, le due figlie e gli amici dell’Aned, l’associazione dei deportati di cui è presidente.

Nel campo
A Mauthausen, Maruffi è tornato molte volte dopo la liberazione del campo da parte degli americani il 5 maggio del ’45 e prima del ritorno in Italia dove seppe che il padre Giuseppe, diventato partigiano «garibaldino», era stato ucciso nel Cuneese.
Ha accompagnato centinaia di studenti «per testimoniare quell’inferno di cui molti, a guerra finita, non volevano neppure sentire parlare, giudicando spesso esagerati i nostri racconti». E con una nota di polemica: «Per noi antifascisti, dopo la guerra, era spesso difficile poter entrare in molte scuole torinesi dove parecchi presidi temevano le nostre lezioni-testimonianze». E nel ritorno a Mauthausen Maruffi sembra vivere una seconda giovinezza: «Può sembrare un’assurdità, ma in quei luoghi mi sento felice, pensando a quel periodo terribile della mia vita, dove, però, la voglia di vivere mi ha fatto superare i momenti più difficili, dove ho visto morire tantissimi amici, ma dove ho imparato a non odiare». Aggiunge, con una punta di discrezione, la moglie: «L’anno scorso ha superato i 186 gradini della scala della morte che collegava le baracche alla cava di granito, quasi avesse 30 anni in meno». Una scelta di non odiare, l’esatto opposto che ti aspetteresti da chi ha subito per mesi punizioni, maltrattamenti, lavorando per 12 ore al giorno, sette giorni su sette.

Niente odio
«Per vivere bisognava che noi ci aiutassimo, anche se fra persone diverse che non si erano mai conosciute. L’importante era questo: stare contro quel sistema, e per farlo bisognava non odiare. Loro, al contrario avrebbero voluto essere odiati, perché in un certo senso si auto-giustificavano del male che potevano fare. L’odio è un sentimento che diminuisce le forze. Chi odia diventa sempre più impotente. Laggiù bisognava invece mettercela tutta. Odiare era un lusso che non potevamo permetterci». Aggiunge: «Quello che bisognava respingere, se si voleva resistere un po’ di più, era l’umiliazione diretta. Bisognava respingerla mentalmente, così mi avevano insegnato gli “anziani” quando arrivai nel lager. Non era facile».
Ferruccio Maruffi testimone a vita: «Lo farò fino a quando la salute me lo permetterà. Sperando che altri, dopo di noi, raccolgano questa eredità».

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