mercoledì 13 febbraio 2013

Gli Shipibo - Konibo



Due articoli trattanti l'etnia Shipibo-Konibo attraverso 
tradizioni, arte, musica e immagini

IL COLLETTIVO D'ARTE BARIN BABABO
L’etnia indigena Shipibo-Konibo vive nella regione Ucayali che si trova nella foresta centrale peruviana ed é tristemente conosciuta come il “corridoio della povertà”.
La cultura Shipibo-Konibo é custode di una straordinaria conoscenza ancestrale della natura. La tradizione di questo popolo insegna a vivere in simbiosi con l’ambiente, a imparare dalla vita delle piante e degli animali.
La vita nelle comunità che ancora vivono a qualche ora dalla città scorre in armonia con le stagioni. Si vive di caccia, di pesca, di agricoltura e di artigianato, a questa attività si dedicano soprattutto le donne che fin da piccole vengono educate all’arte della ceramica e del ricamo. Gli sciamani curano i propri pazienti con cerimonie di canti chiamati Icari e con decotti di erbe medicinali come l’Ayahuasca.
I popoli indigeni del bacino del Rio delle Amazzoni utilizzano da tempo immemorabile il decotto della porzione lignificata e polverizzata delle liane di Banisteriopsis caapi e delle foglie di Psychotria viridis per ottenere l’Ayahuasca; utilizzata in cerimonie religiose e per scopi magico-terapeutici. Il più antico oggetto conosciuto legato al cerimoniale dell’Ayahuasca è una coppa ricavata da una pietra intagliata e decorata con incisioni, trovata nella foresta ecuadoregna e legata alla cultura Pastaza (500 a.c.-50 d.c.). Ciò dimostra come l’ Ayahuasca sia conosciuta ed utilizzata da almeno 2.500 anni.
Ad oggi alla situazione di estrema povertà in cui questo popolo vive da alcuni decenni si sommano l’influenza delle varie congregazioni religiose evangeliche e protestanti che pretendono di convertire la popolazione allontanandola dalle proprie tradizioni originarie e soprattutto la minaccia delle grandi multinazionali petrolifere, interessate a questa zona ricca di petrolio ed infine la distruzione ambientale generata dal commercio illegale del legno.
Molti giovani cercano fortuna emigrando nella capitale, Lima, lasciando la propria casa e le proprie terra in cambio di una vita fatta di miserie e stenti.
In tale contesto nasce il Collettivo di artisti Barin Bababo formato da un gruppo di giovani della comunità di San Francisco di Yarinacocha, che si trova a quaranta minuti da Pucallpa, capoluogo della regione.
Questi pittori dipingono straordinari quadri che rispecchiano e raccontano la cosmo-visione amazzonica, l’arte della pittura è divenuta per loro un mezzo importante per diffondere la propria cultura e a questo scopo sono già state organizzate diverse mostre sul territorio locale e internazionale di discreto successo che hanno dato la speranza a questi giovani artisti di poter vivere della propria arte.
Al Collettivo Barin Bababo si sono uniti non solo giovani appassionati alla pittura dei disegni chiamati Kenè, ma anche artigiani e artigiane della comunità, cercando di guadagnarsi il necessario per vivere attraverso l’arte prodotta, cercando di diffondere la propria cultura e sensibilizzare l’opinione pubblica sul pericolo che corre la propria etnia, ha dato a questi giovani artisti una nuova prospettiva di vita, ha risvegliato in loro la volontà di agire, di parlare e di farsi sentire.
Chiaramente rispetto al devastante impatto del sistema sociale ed economico perpetuato dall’Occidente il loro operato risulta essere minimale, generando sì arte, attraverso la cultura millenaria dell’etnia Shipibo-Konibo, ma altresì, lasciando gli artisti nell’immane compito soli, privi di supporto e risorse sufficienti alla salvaguardia del loro patrimonio di conoscenze. Le enormi difficoltà affrontate da questi artisti indigeni sono le difficoltà proprie dell’Occidente, incapace di cooperare efficacemente rispetto alla tutela delle culture locali, della salvaguardia del territorio e della dignità umana.
È così che a questi artisti si preclude la possibilità di essere attori economici nel mercato equo e solidale mondiale, in quanto neanche questo sistema risulta in grado di prendere coscienza del valore intrinseco di ciascuna opera, risultando incapace di proporre agli artisti il giusto compenso per l’opera creata, lasciando, in tal modo, col tempo, che essi si dedichino definitivamente alle uniche forme di sostentamento economico che ormai da decenni deturpano culture e territori della selva amazzonica, ma non solo.
Ciò che emerge è il forte divario che la cultura Shipibo-Konibo presenta nei confronti del sistema economico-finanziario ed in particolare con il concetto di sviluppo da noi adottati in maniera sempre più totalitaria negli ultimi sessanta anni.
In un epoca globalizzata come quella che ci troviamo a vivere oggi diventa fondamentale interrogarci sull’impatto della nostra cultura sulle migliaia sparse per il pianeta, riscoprendo nuove forme di intendere la vita, aperti alla condivisione in un ottica di azione locale e visione globale, usando adesso, questo momento di crisi che non deve essere derubricato a semplice tracollo finanziario e quindi problema da economista, bensì come inefficienza del nostro modello socio-economico, che ci vede tutti coinvolti nei gesti quotidiani.
Gli Shipibo-Konibo ed il collettivo artistico indigeno Barin-Bababo non devono e non possono farsi carico delle nostre inefficienze, ma possono essere un esempio valido, fatto di azioni dotate di un senso profondo e condiviso, non di gesti ripetuti convenzionalmente che, forti della propria identità culturale e dell’individualità di ciascun membro della comunità agiscono per il proprio benessere.
Benessere inteso anch’esso in maniera differente dal nostro, per il quale non occorre prevalere o padroneggiare bensì costruirsi singolarmente ed in comunità il proprio patrimonio culturale, da solo in grado di sopperire alle esigenze di una vita intera, senza che il suo sviluppo determini lo sconvolgimento dell’ambiente o di culture distanti e differenti.
Grazie a questo lavoro e alla collaborazione dell’antropologa Luisa Belaunde, il progetto Barin Bababo ha ottenuto un importante riconoscimento, infatti l’Istituto Nazionale della Cultura del Perù ha dichiarato il Kené Shipibo-Konibo Patrimonio Culturale della Nazione, riaffermandone così l’importanza per la cultura amazzonica peruviana.


Andrea Balice



La bellezza di quest’arte si può scorgere tra le parole dell’antropologa Luisa Belaunde, la quale riassume il significato del Kené per la cultura indigena inquadrando l’arte nelle credenze culturali proprie della popolazione degli Shipibo Konibo.

LA BELLEZZA

La bellezza secondo il pensiero Shipibo-Konibo si nota a fior di pelle.
Le persone, o le cose, sono belle quando hanno il Kené, ossia quando hanno il corpo coperto da una rete di segni geometrici che avvolgono la pelle con linee rette e curve, circuiti di energia che creano una nuova pelle fatta di luce e colore.
L’arte del Kené appartiene tradizionalmente alle donne, che secondo la Cosmologia, impararono a fare i disegni copiandoli dal corpo di una donna Inka proveniente dall’eterno mondo del fuoco del sole, che attraversò il fiume che separa gli immortali dai mortali.
Questa donna aveva sulla pelle i disegni dell’anaconda, la potente proprietaria cosmica dei fiumi e dell’arcobaleno che rappresenta il cammino che unisce l’acqua al sole.
Secondo il pensiero Shipibo-Konibo, i disegni di tutto ciò che esiste hanno origine nelle forme della pelle dell’anaconda primordiale; per questo , per poter vedere e fare i disegni é necessario consumare le piante che manifestano il potere dell’anaconda come il Piripiri e l’Ayahuasca.
Fin da piccole le bambine vengono trattate con Piripiri, una pianta Cyparacea che rende la vista più acuta e fa vedere i disegni nella mente, per poterli poi plasmare con precisione sulla pelle, sulle tele, sulla ceramica e sul legno. Le donne dipingono con bastoncini di legno e pennelli fatti con i propri capelli usando tinte naturali; inoltre ricamano, tessono tele e lavorano con perline colorate.
Nelle fiere artigianali del Perù si vedono spesso le donne Shipibo-Konibo vendendo i loro prodotti, però poche persone conoscono la complessità del loro pensiero artistico e la destrezza necessaria per produrre tali disegni.
Le donne non hanno bisogno di bozzetti, infatti disegnano direttamente ciò che vedono nella loro mente, rendendo più bello il quotidiano, trasformandolo a immagine e somiglianza del mondo Inka. Se non ci fossero le donne che disegnano il Kené, gli uomini non avrebbero ornamenti materiali e il mondo non potrebbe assomigliare a quello degli dei.
Alcuni uomini possono vedere disegni nella loro mente, anche se tradizionalmente non coltivano la abilità di materializzarli. Le visioni del Kené permettono loro di praticare il sciamanismo, che normalmente è una specialità maschile. Durante la cerimonia di Ayahuasca, chi partecipa visualizza la rete di filigrana di luce e colore che copre tutte le cose, che indica lo stato di salute fisica, mentale e spirituale delle persone. Attraverso il canto, lo sciamano entra in comunicazione con l’energia dell’anaconda primordiale e con gli spiriti delle piante, e la sua voce traccia disegni immateriali che avvolgono l’assistito curandolo. Cantare equivale a fare disegni immateriali di guarigione, chiari e profumati.
Il Kené è l’unione dell’estetica con la medicina, del materiale con l’immateriale, del femminile con il maschile. Vedere e disegnare il Kené equivale a mimetizzarsi con l’energia delle piante che hanno in sé il potere generativo dell’anaconda primordiale. Tutte le forme visuali, olfattive, sonore e tattili del disegno Shipibo-konibo sono una celebrazione alla bellezza dell’anaconda e richiamano all’Inka eterno che risplende luminoso nel cielo.

 Luisa Belaunde
Antropologa amazzonica


Fonte: 
I due articoli sono stati pubblicati sulla rivista "POGROM"; Associazione per i popolai minacciati, edizione speciale in lingua italia, 269_anno 43 Edizione speciale 1/2012


VIDEO
ARTE E RITUALITA' DELL'ETNIA SHIPIBO INDIGENI IN CERCA DI AUTONOMIA DALLE MULTINAZIONALI OCCIDENTALI


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